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Bistum Chur

Omelia di S. Em. Kurt Cardinale Koch

IL VESCOVO: PONTIFEX COME TESTIMONE DELLA RISURREZIONE 1

Si dovrebbero celebrare le feste così come cadono. Questo è ciò che dice giustamente un detto popolare. L’odierna celebrazione della consacrazione episcopale cade nella solenne festività di San Giuseppe, omonimo del vescovo Joseph. La diocesi di Coira ha un nuovo vescovo di nome Joseph nell’anno che Papa Francesco ha dedicato a San Giuseppe in occasione del 150° anniversario della sua elevazione a patrono della Chiesa universale. Questo è un buon segno. San Giuseppe è infatti colui attraverso il quale Dio ha fatto in modo che avvenisse l’inizio della storia della redenzione di noi esseri umani. Come ci ricorda il vangelo di oggi, San Giuseppe ha potuto svolgere questo compito solo perché ha ascoltato completamente Dio. Proprio come Abramo, menzionato da Paolo nella lettura odierna, che ha creduto nella speranza contro ogni speranza, così anche Giuseppe si pone davanti a noi come un uomo di fede, disposto ad ascoltare e a fare la volontà di Dio di cui fa l’esperienza nella Legge divina e in vari sogni, mettendosi completamente al servizio di Maria e del suo bambino.

Il vescovo come amministratore della Chiesa
Per questo motivo, vari Padri della Chiesa hanno ravvisato nel presepe il modello della vera natura della Chiesa. La Chiesa è rappresentata da Maria insieme a suo figlio, che è il fulcro. Lo Spirito Santo scende su Maria, la sceglie e la edifica come nuovo tempio, la Chiesa. In Giuseppe, invece, che è raffigurato in molte rappresentazioni con un bastone fiorito in mano, i Padri della Chiesa hanno visto l’archetipo del vescovo cristiano e della sua missione nella Chiesa. Come Giuseppe, anche il vescovo è nominato protettore della volontà amorevole di Dio, amministratore e guardiano del santuario situato nella mangiatoia. Come Maria è sotto la protezione di Giuseppe, così al vescovo viene affidata la Chiesa come sposa; il portare l’anello gli ricorda ogni giorno che di lei deve prendersi cura. Ma questa sposa non è a sua disposizione; piuttosto, essa le viene affidata ed è quindi sotto la sua cura protettiva.

In un vescovo che porta il nome Joseph Maria, le due figure di Giuseppe e Maria sono collegate insieme strettamente. Egli è dunque chiamato in modo particolare ad esercitare il ministero episcopale così come Sant’Agostino considerava il proprio episcopato: “Con voi sono cristiano – per voi sono vescovo.” Da un lato, in virtù del suo battesimo, il vescovo è un membro della Chiesa in senso mariano, e fa parte della Chiesa come uno dei suoi membri battezzati. Dall’altro, a motivo della sua consacrazione sacramentale, il vescovo si pone anche davanti alla Chiesa nel senso giuseppiniano, e deve presentarsi e agire come segno sacramentale della priorità dell’azione del Cristo risorto. Quando percepiamo questa interrelazione fondamentale tra l’“essere dentro” alla Chiesa da parte del vescovo e il suo “essere di fronte” alla Chiesa, diventiamo anche ricettivi all’ascolto e alla riflessione su quanto ha affermato Sant’Agostino: “Quando mi spaventa ciò che sono per voi, vengo confortato da ciò che sono con voi. Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Il primo denota il ministero, il secondo denota la grazia. Il primo il pericolo, il secondo la salvezza.” 2

Il vescovo come costruttore di ponti
Se prendiamo sul serio le parole di Sant’Agostino, capiamo che il vescovo è chiamato ad essere costruttore di ponti, pontefice, e ad agire come tale. Il vescovo deve costruire ponti tra i diversi gruppi e le diverse correnti che vivono nella diocesi e che hanno diverse priorità e preoccupazioni. Il suo compito è anche quello di costruire ponti tra la diocesi a lui affidata e le varie chiese locali, e tra la diocesi e la Chiesa universale. È chiamato a vivere e ad agire come anello di congiungimento della cattolicità nella Chiesa in tutto il mondo.

L’attenzione è oggi certamente rivolta alla costruzione di ponti nella diocesi di Coira, che si presenta molto divisa. Molte persone nella diocesi, e anche al di fuori di essa, si aspettano che il nuovo vescovo sia in grado di costruire ponti e che lo faccia. Naturalmente, questo è solo un elemento; non sarebbe né realistico né molto utile riporre ogni speranza solo nel nuovo vescovo e concentrare su di lui aspettative irrealizzabili. Di fatti, la pace e la riconciliazione non possono essere recuperate solo costruendo ponti. Un ponte si rivela utile solo quando viene percorso, e viene percorso da entrambi i lati e da tutte le persone. L’odierna consacrazione episcopale è anche un urgente invito rivolto a tutti i diocesani ad attraversare il ponte gli uni verso gli altri, e a stringersi la mano nella riconciliazione.

Forse ci potrà aiutare riflettere su un’affermazione di San Cipriano, vescovo di Cartagine e importante autore della Chiesa primitiva del terzo secolo. Come guida per una vita fruttuosa e per una collaborazione buona all’intero della Chiesa, egli formulò il principio: “Nihil sine episcopo, nihil sine consilio prebyterii, nihil sine consensu plebis”3 : “Niente senza il vescovo, niente senza il consiglio dei presbiteri e niente senza il consenso di fede del popolo di Dio.” Di conseguenza, il ministero episcopale non può esistere senza la collegialità con i pastori, specialmente con i sacerdoti, e senza la sinodalità del popolo di Dio. Ma neppure collegialità e sinodalità possono esistere senza il vescovo.

Il vescovo come testimone della fede
Questa preoccupazione è stata espressa anche nella lettera che il Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, ha indirizzato a Mons. Joseph Bonnemain a nome di Papa Francesco, ricordandogli che è chiamato “soprattutto a promuovere la comunione e l’unità della chiesa locale e ad impegnarsi generosamente a favore dell’evangelizzazione”. Con questo augurio, il Cardinale Ouellet ha richiamato l’attenzione sul fatto che il vescovo, nel costruire i ponti necessari, non può semplicemente accontentarsi di essere un moderatore tra correnti e opinioni diverse. Piuttosto, egli dovrà prima di tutto operare come evangelizzatore e porsi al servizio dell’annuncio del Vangelo. A ciò si riferiscono anche le prime domande che vengono rivolte al candidato prima della consacrazione, in relazione alle sue promesse: “Sei pronto ad annunciare il Vangelo di Cristo fedelmente e instancabilmente?” E: “Sei pronto a trasmettere in forma pura e integrale il patrimonio di fede che, tramandato dagli apostoli, è stato conservato sempre e ovunque nella Chiesa?”

Il vescovo è dunque chiamato, prima di tutto, a essere un testimone che si schiera con tutta la sua persona e con la sua coscienza non-delegabile a favore della fede della Chiesa come prescritto nel Vangelo di Gesù Cristo, per professarla sempre, nelle situazioni facili come in quelle difficili, non solo occasionalmente. È stato così fin dall’inizio della Chiesa. Già al momento della nomina di Mattia nel cerchio dei dodici, nomina diventata necessaria dopo il tradimento e la morte di Giuda, Pietro formulò il prerequisito fondamentale: che “divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione” (Atti 1,22). La fede nel Cristo risorto è il messaggio centrale della Chiesa cristiana, che ci annuncia che l’amore di Dio è più forte di ogni inimicizia umana e che l’ultima parola non appartiene alla morte, ma che Dio riserva per sé l’ultima parola e che essa è Vita. La chiamata fondamentale di ogni battezzato, e specialmente di coloro che prestano servizio nella Chiesa, è testimoniare la risurrezione di Gesù Cristo.

Ciò è vero in modo particolare per un vescovo, la cui prima professione è essere medico, con il compito di guarire le persone. Questo ci avvicina a una figura sacerdotale che oggi vorrei ricordare brevemente: il famoso teologo francese Marc Oraison che, come il nostro vescovo Joseph, è stato inizialmente medico e solo in seguito è diventato sacerdote. Nelle sue memorie, egli racconta il percorso intrapreso da medico a sacerdote. Come chirurgo, conobbe certamente diversi successi nella lotta contro la malattia e la morte. Ma, pian piano, divenne sempre più chiaramente e dolorosamente consapevole dei limiti dell’arte medica e del suo potere. In vista della morte insormontabile e della necessità di capitolare da parte della medicina, sorse in lui sempre più forte il desiderio di rendere presente la risurrezione di fronte alla morte, ovvero di celebrare la Santa Messa.

Il vescovo come terapeuta di Dio
In questo contesto, è opportuno ricordare che un titolo riferito a Gesù, molto diffuso nei primi secoli ma poi in gran parte dimenticato, era: “Cristo, il medico”. Lo si evince anche gettando uno sguardo alle Sacre Scritture. Tutti i Vangeli, specialmente quello di San Luca, che era egli stesso un medico, ritraggono Gesù come il Figlio di Dio che guarisce in nome di Dio. E quando gli evangelisti parlano delle guarigioni di Gesù, usano spesso la parola greca “therapeuein”. Gesù Cristo è un terapeuta, in senso specifico: è il terapeuta di Dio, che offre il proprio servizio per la vita delle persone.

Anche il vescovo Joseph desidera inscriversi nella sua sequela scegliendo come motto per il suo ministero episcopale un’espressione usata da Papa San Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Redemptor hominis”: “Homo est via Ecclesiae”: “l’uomo è la via della Chiesa”. Se guardiamo l’essere umano con gli occhi di Cristo risorto e vediamo in lui l’immagine di Cristo, allora siamo al servizio della missione che Cristo risorto ha affidato alla sua Chiesa: annunciare l’amore risanante di Dio e la sua vita eterna, che celebriamo ogni volta nell’Eucaristia. Essa è il “pharmakon athanasias”, il rimedio per l’immortalità, che offre la terapia divina che Gesù Cristo ha portato a noi umani. È quindi anche il sacramento dell’unità, unità che siamo sempre invitati a cercare e a trovare nell’Eucaristia.

Chiediamo al Dio vivente che, con la consacrazione del nuovo vescovo, la diocesi di Coira possa guarire da molte ferite. Preghiamo Dio per il nostro Vescovo Joseph Maria affinché eserciti il suo ministero episcopale nello spirito della terapia divina e come fedele servitore del mistero mariano della Chiesa. E sosteniamolo ora, soprattutto con la nostra preghiera, quando Cristo stesso lo consacra Vescovo di Coira attraverso le mani vuote dei vescovi presenti.

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1) Omelia durante la celebrazione eucaristica con la consacrazione di Mons.Joseph Maria Bonnemain come Vescovo di Coira nella Cattedrale di Coira, il giorno della Festa di S. Giuseppe, 19 marzo 2021.
2) Agostino, Sermo 340, 1 = PL 38, 1483.
3) CSEK III, 2, 512.